Un gruppo di direttive sarà alla base della trasformazione digitale in Europa nei prossimi anni.
E la salute è uno dei settori che saranno maggiormente interessati da questo processo normativo. Il suo scopo è quello di combattere il monopolio della tecnologia su Internet (legge sui mercati digitali).
L’aspetto fondamentale, in ogni caso, sarà la completa digitalizzazione delle cartelle cliniche. È ciò che permetterà ai pazienti affetti da malattie rare di condividere i propri dati con gli istituti che stanno lavorando alle cure o che i malati cronici possano spostarsi al di fuori del proprio Paese di residenza con delle garanzie. Una situazione opposta a quella attuale. “Quello che abbiamo visto con la segnalazione dei casi di covid-19 è, purtroppo, un po’ paradigmatico. Ci sono troppi dati, molto vari e non integrati”, conferma Corcho.
Il volume globale dei dati sarà cresciuto da 33 zetta byte nel 2018 a 175 nel 2025, ma le capacità dei Ventisette avanzano molto lentamente perché la maggior parte dei loro dati non è adeguatamente digitalizzata e l’interoperabilità tra regioni e Paesi è scarsa.
Il continente non crea giganti né sfrutta le informazioni che genera. Cosa resta allora? Giocare la carta della regolamentazione. Creare degli standard e, con la vostra forza di blocco, costringere gli altri a rispettarli.
Il nuovo regolamento faciliterà una maggiore personalizzazione dei trattamenti contro il cancro, confrontando ogni diagnosi con un maggior numero di dati storici; oppure anticiperà o ritarderà lo sviluppo di malattie croniche. E renderà possibile il risparmio, solo nella sanità.
la Commissione europea a creare uno Spazio europeo dei dati sanitari (EHDS). Questo organismo supervisionerà la corretta applicazione della legislazione medica e sarà finanziato per la salute digitale dai piani di risanamento nazionali.
Per Gemma Galdon, fondatrice di Eticas, una start-up che verifica gli algoritmi, ne derivano “rischi molto sensibili”. Diverse indagini recenti hanno dimostrato che in compiti medici elementari come la lettura di immagini, la capacità dei sistemi intelligenti è ancora molto limitata: non sono riusciti a percepire se un paziente ha una frattura ossea o se c’è una traccia di covid-19 nel suo corpo. Situazioni che contrastano con la narrazione tecnologica ottimistica dominante. Ma, inoltre, l’etica stessa che gli algoritmi incorporano continua a essere molto carente. “Abbiamo visto come hanno lasciato la popolazione nera senza trapianti di rene o come hanno escluso gli operatori sanitari di prima linea dalla distribuzione prioritaria dei vaccini”.
La situazione è ibrida: persiste l’incertezza sull’affidabilità della diagnosi autonoma, ma non ci sono dubbi sul fatto che migliori la gestione. “Permette di analizzare le relazioni tra sintomi, diagnosi e farmaci nella storia clinica di un paziente; di prevedere la durata di un’entrata e di ottimizzare i mezzi…”, elenca Óscar Corcho, professore di Intelligenza Artificiale all’Università Politecnica di Madrid.
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